giovedì 21 luglio 2011

Theo Saewecke: dalle SS alla CIA

Durante una ricerca in relazione ad un documento rilasciato nel 1944 dall'Aussenkommandos der Sicherheitspolizei Mailand ( Comando della Polizia di Sicurezza a Milano ) mi sono imbattuto in una storia incredibile che ha come protagonista l'SS-Huptsturmfuehrer Theodor Emil “Theo“ Saevecke che ne era il comandante e che ripropone il mistero di come alcuni criminali nazisti siano riusciti a sfuggire ad ogni castigo. 
Theodor Emil “Theo“ Saevecke era nato ad Amburgo il 23.3.1911, secondogenito dell'ex sottufficiale di carriera Kurt Saevecke e di sua moglie Maria, nata Sattelberg. Dopo aver frequentato la Realschule a Entin, il Realgymnasium a Parchim e a Ludwigslust e l'istituto Katerineum a Lubecca, nel febbraio del 1930 entra al liceo. Saevecke sente però il fascino del mare e, dopo aver lavorato per tre mesi «come volontario» nei cantieri navali Neptun di Rostock e aver successivamente seguito un corso trimestrale all'Istituto nautico di Finkenwürder, il 19 dicembre 1930 corona il suo sogno e, «cadetto della marina mercantile», si imbarca sul quattro alberi Padua di Amburgo a bordo del quale rimane fino al 20 giugno 1932 toccando per due volte le coste dell'America del sud.

domenica 17 luglio 2011

Il Lapplandschild, l'ultima decorazione tedesca.


Il "Lapplandschild" ( Scudetto di Lappland ) fu l'ultima decorazione ufficiale tedesca rilasciata durante la seconda guerra mondiale. Poco conosciuta e anche poco amata dai collezionisti di militaria tedesca, forse per la varia tipologia degli esemplari offerti e per i dubbi sulla loro originalità, ci racconta invece di uno straordinario ed inusuale scenario di guerra svoltosi nel lontano nord a cavallo del circolo artico, del quale poco si sa e poco si è parlato. 
Negli ultimi mesi del 1944, la 20.Gebirgsarmee, comandata dal Generaloberst Lothar Rendulic, che raccoglieva tutte le forze tedesche presenti in Finlandia e Norvegia, doveva contemporaneamente affrontare tre missioni quasi impossibili:

venerdì 8 luglio 2011

La Storia ( e la Vergogna ) siamo noi!

Che vergogna! Ho appena visto questo spregevole filmato propagandistico e demagogico, degno della peggiore seconda repubblica con accuse incredibili e assolutamente non provate a Mussolini ed alla sua famiglia. Tutti conosciamo quale sia stata la la vita di Donna Rachele e dei suoi figli, con la sola pensione statale di reversibilità derivantele dalla carica ufficiale del defunto marito. Chi conosce Livorno sa come sia vissuta negli anni postbellici Edda Ciano che avrebbe potuto contare sulle cospicue ricchezze della famiglia Ciano, accumulate da Costanzo Ciano, medaglia d'oro della prima guerra mondiale e senatore del Regno, e non certo da Galeazzo che, se ha speso ha speso del suo.
Vorrei che qualcuno mi mostrasse i documenti dai quali risultano le immense ricchezze accumulate dai gerarchi fascisti e, ovviamente, passate ai loro discendenti dopo la fine della guerra: Balbo, Pavolini, Buffarini Guidi, Starace, Muti, Vidussoni, Scorza, ecc. Non mi risulta che nessuna di queste famiglie sia venuta alla ribalta per le sue ricchezze dal 1945 ad oggi. Riporto qui un pezzo tratto da un articolo del giornalista e scrittore Filippo Giannini che mi sembra ben rispondere a Minoli e alla sua Storia ( sua e non nostra ): "A guerra terminata nel bel mezzo della  caccia al fascista e delle inquisizioni cui erano sottoposti, lo Stato democratico e finalmente libero (di rubare!) aprì un’inchiesta a carico di 5005 (cinquemila e cinque) gerarchi e alti funzionari del mai sufficientemente deprecabile infausto Ventennio, inchiesta tendente ad accertare quanto i fascisti avessero rubato. L’operazione di indagine andò avanti per un paio di anni. Ma a farsa si somma farsa. Come scritto non si trovò nulla di illegale; un bel giorno apparve su tutti i giornali (politicamente corretti) la notizia: Trovato il tesoro di Italo Balbo; è nascosto in una cassetta di sicurezza in una banca. Il giorno deciso dagli inquirenti per aprire la cassetta inquisita furono convocati operatori, giornalisti, il fior fiore dei politici e, con gran pompa, la famigerata cassetta fu aperta; obbrobrio, il tesoro era una sciarpa: la sciarpa Littorio.
   Dopo di che, dato che c’è un limite per il ridicolo anche per la Repubblica nata dalla Resistenza, l’inchiesta sui 5005 (cinquemila e cinque) indagati, zitti, zitti, gli inquisitori chiusero le indagini e accantonarono l’inchiesta."

martedì 5 luglio 2011

Il massacro di Gela

Era tanto che volevo scrivere di questi fatti dei quali avevo saputo leggendo un articolo apparso sul Corriere della Sera qualche anno fa, ma che non riuscivo più a trovare. Grazie ad una segnalazione di Fabrizio Carloni, l'autore di quell'articolo, che ha pubblicato anche un'intero volume sullo sbarco alleato in Sicilia nel 1943, ho reperito tutte le fonti d'informazione necessarie.
Inizio riportando quando scritto da Carloni nel suo articolo: "Nel corso di Husky, nome in codice dello sbarco alleato in Sicilia del luglio 1943, le truppe statunitensi, comandate dal generale George Patton, trucidarono numerosi civili e molti militari che si erano arresi. Le stragi dei prigionieri italiani a Biscari, a sud di Caltagirone, rivelate dallo storico statunitense Carlo D'Este, non furono dunque una disgraziata eccezione.
Una tragedia simile di cui mai si è scritto o parlato, si consumò a 8 chilometri da Gela, sulla strada per Vittoria, verso le 7 di mattina del 10 luglio, giorno dello sbarco. In questa località, detta Passo di Piazza, i carabinieri reali avevano costituito un posto fisso in un casale rurale. Era in posizione strategica perchè i militari potessero vigilare la linea ferroviaria che correva parallela al mare. Erano una quindicina e, al momento dello sbarco due erano in pattuglia. Gli altri furono svegliati dal fuoco martellante dell'artiglieria; tutto intorno scendevano centinaia di paracadutisti americani."
L'articolo continua con il racconto di uno dei militari sopravvissuto,

sabato 2 luglio 2011

After the Reich ( I crimini di guerra degli alleati )

Lo storico inglese Giles MacDonough ha dato alle stampe uno scioccante volume dal titolo "After the Reich: The Brutal History of Allied Occupation " che, forse per la prima volta, documenta con assoluta precisione storica quanto accaduto alla Germania sconfitta e ai suoi cittadini, militari e civili.
Mark Weber, dell'Institute for Historical Review, ha scritto una recensione, tradotta in italiano da Andrea Carancini, che qui vi ripropongo. Il libro è acquistabile su Amazon.com.


"Molte persone accettano l'idea che, considerati i crimini di guerra dei nazisti, un certo grado di violenza vendicatrice contro i tedeschi fosse inevitabile e forse persino giustificata. La risposta normale ai rapporti sulle atrocità commesse dagli Alleati è che i tedeschi se le meritarono. Ma, come MacDonogh dimostra, le spaventose crudeltà inflitte ad un popolo tedesco totalmente abbattuto, andarono decisamente oltre l'immaginabile. Egli calcola che circa tre milioni di tedeschi, sia militari che civili, morirono in modo ingiustificato dopo la fine ufficiale delle ostilità.


Di questi, un milione erano uomini che venivano tenuti come prigionieri di guerra, la maggior parte dei quali morirono in mano ai sovietici (dei 90.000 tedeschi che si arresero a Stalingrado, ad esempio, solo 5.000 tornarono in patria). Ancora meno conosciuta è la storia delle molte migliaia di prigionieri tedeschi che morirono - in mano agli americani e agli inglesi nel modo più infame, in spaventosi campi di prigionia lungo il Reno, senza alcun riparo e con quantità di cibo irrisorie. Altri, più fortunati, vennero impiegati come