martedì 5 luglio 2011

Il massacro di Gela

Era tanto che volevo scrivere di questi fatti dei quali avevo saputo leggendo un articolo apparso sul Corriere della Sera qualche anno fa, ma che non riuscivo più a trovare. Grazie ad una segnalazione di Fabrizio Carloni, l'autore di quell'articolo, che ha pubblicato anche un'intero volume sullo sbarco alleato in Sicilia nel 1943, ho reperito tutte le fonti d'informazione necessarie.
Inizio riportando quando scritto da Carloni nel suo articolo: "Nel corso di Husky, nome in codice dello sbarco alleato in Sicilia del luglio 1943, le truppe statunitensi, comandate dal generale George Patton, trucidarono numerosi civili e molti militari che si erano arresi. Le stragi dei prigionieri italiani a Biscari, a sud di Caltagirone, rivelate dallo storico statunitense Carlo D'Este, non furono dunque una disgraziata eccezione.
Una tragedia simile di cui mai si è scritto o parlato, si consumò a 8 chilometri da Gela, sulla strada per Vittoria, verso le 7 di mattina del 10 luglio, giorno dello sbarco. In questa località, detta Passo di Piazza, i carabinieri reali avevano costituito un posto fisso in un casale rurale. Era in posizione strategica perchè i militari potessero vigilare la linea ferroviaria che correva parallela al mare. Erano una quindicina e, al momento dello sbarco due erano in pattuglia. Gli altri furono svegliati dal fuoco martellante dell'artiglieria; tutto intorno scendevano centinaia di paracadutisti americani."
L'articolo continua con il racconto di uno dei militari sopravvissuto,
Antonio Cianci di 21 anni, che aveva accettato di parlarne soltanto a distanza di 65 anni. Dopo una breve resistenza gli italiani alzarono bandiera bianca e si arresero abbandonando tutte le armi. Vennero fatti sfilare in fila indiana davanti ad un gruppo di paracadutisti con le mani alzate. Furono disarmati e fatti distendere a terra per essere perquisitie rapinati di tutto quello che avevano, dagli orologi alle penne stilografiche, ai borsellini, agli anelli; poi furono fatti appoggiare ad un muro con le mani sulla testa.
Altri americani incominciarono a percuotere le porte di alcuni locali attigui a quelli della caserma dove si erano rifugiati dei contadini. In quel momento i paracadutisti incominciarono a sparare a raffica sui prigionieri. Tre o quattro morirono subito, parecchi furono feriti e Cianci fece finta di essere stato colpito.
Altri soldati americani intervennero a favore dei superstiti e li separarono dai morti ammazzati, trascinandoli a 300 metri dal luogo dell'esecuzione ed ammassandoli sotto un albero di ulivo affidati alla custodia di un loro militare. Dopo un po' di tempo arrivarono due altri soldati americani che scortarono i Carabinieri verso il mare dove era stato predisposto un campo di concentramento per militari e civili italiani; il ferito fu lasciato sotto l'albero con il guardiano nemico italo-americano. 
Verso il 12 i prigionieri del campo provvisorio furono imbarcati e trasportati in Algeria dove si andarono ad aggiungere alle decine di migliaia di italo-tedeschi che si erano arresi nel maggio precedente.

Molti altri fatti analoghi sono accaduti in Sicilia in quel 1943 e sono riportati nel libro di Fabrizio Carloni, pubblicato da Mursia, che vi consiglio di leggere. Comunque, da parte mia, non mancherò di segnalare in futuro i meno conosciuti dei quali nessuno parla ancora oggi.

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